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Visualizzazione dei post da ottobre, 2021

Fight Club, David Fincher, 1999

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Fight Club è un film molto complesso e ambiguo e si basa sul sorprendente libro di Chuck Palanhiuk. Lo scrittore si inventa un nuovo modo di scrivere, fatto di ripetizioni, di tagli, di nomi esoterici legati alla medicina, di nozioni utili se si vogliono fabbricare esplosivi. Chuck ha un talento letterario unico. Scava dentro la nostra società (consumistica) e si insinua in quei luoghi bui e molte volte nascosti, quegli antri oscuri in cui si ripiegano le incongruenze del mondo in cui viviamo. Chuck ci fa entrare in questi luoghi: gli incontri tra malati terminali, il lavoro delle compagnie automobilistiche durante gli incidenti, la costruzione di bombe. Il protagonista del libro si ritrova invischiato in una vita che non sente più propria. Schiavo del lavoro, degli oggetti, delle cose che ha intorno e di cui non ha bisogno.   "Le cose che possiedi alla fine ti possiedono" dice Tyler Durden. Ed è vero. Quella del protagonista è una rivoluzione. Di tipo anarchico e masochista

Red rocket, Simon Baker, 2021

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  Mickey ritorna da moglie&suocera pieno di lividi e squattrinato. Si sistema sul divano di casa e poi decide di cercarsi un’occupazione per contribuire alle spese. Durante i suoi colloqui di lavoro scopriamo che in passato si è dato parecchio da fare nell’industria pornografica, ricevendo premi e riconoscimenti (tipo quello per migliore attore in una scena blowjob ). Le cose purtroppo non sono andate bene a Los Angeles, sono andate decisamente a puttane e alcune di esse, con le quali conviveva, lo hanno portato sul lastrico e la bancarotta. La vita è così, alti e bassi, la ruota gira e in alcuni momenti può essere meravigliosa. Sarà forse la sua immaginazione, qualcosa di bello per tirare avanti o magari un altro dono degli dei del fottere ma Strawberry appare in un negozio di donuts , con i suoi occhi così invitanti, le sue labbra (e che pompini, signori, senza perderne una goccia!) e il suo corpo magico di ragazza adolescente. Mickey prende quello che arriva e cerca di godere di

Terrorizers, Wi Ding Ho, 2021

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  Sono ancora i corpi quelli che desiderano e bramano e cercano un contatto. Anche in un mondo, come il nostro e ancor di più in quello di alcune società asiatiche, in cui la virtualità dei rapporti (web chat) e delle esperienze (virtual reality games) si sta facendo sempre più invasiva e preoccupante. E’ la tecnologia che sta trasformando il nostro modo di raggiungere gli altri. Avvicinandoci ad essi e allontanandocene allo stesso tempo. Sistemi comunicativi che in realtà creano barriere invisibili. Guardiamo più lo schermo di un cellulare che le persone che abbiamo davanti. Saranno gli odori ad attrarci di nuovo? Non ci crederei molto, suggerisce qualcuno, vista tutta la merda di profumi che vendono in giro - Accarezziamo di più con le punta delle dita lo screen di un telefono che la pelle di qualcuno che vorremmo sfiorare - Erotismo vibrante, nelle immagini e qualche movimento nelle mutande nel vederle, corpi giovani, chissà se scelti apposta, poi atti di duplice voyeurismo nell’os

Mediterráneo, Marcel Barrena, 2021

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  Ho lavorato e condiviso gran parte del mio tempo, per parecchi anni, con migranti, richiedenti asilo e rifugiati politici e ho ascoltato le loro storie, quella del viaggio era una delle più importanti. In Italia il loro punto di arrivo era quasi sempre Lampedusa. Ho conosciuto molto bene tutto il percorso che li aspettava dopo, una volta sbarcati. In Mediterraneo possiamo vedere quello che accade prima, non in Italia ma in Grecia, il discorso, comunque, non cambia. Che un gruppo di soccorritori spagnoli ci metta l’anima e il cuore per salvare delle vite umane non può fare altro che toccarci intimamente, perché vorremmo che quella legge del mare, quella che impedisce di lasciare morire un nostro simile fosse una legge universale e purtroppo non lo è. Il traffico di migranti e poi l’accoglienza, in Italia, non è stata altro che un business. In cui erano i profitti, prima di tutto, ad avere importanza. Ci sono stato dentro a questo meccanismo e me ne sono andato prima che mi schiacci

Passing, Rebecca Hall, 2021

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  Passando. Da una identità a un’altra. In un giorno in cui la luce risplende per le strade e i (mono)cromatismi delle immagini sono sussurri visivi. E poi lenti spostamenti interiori. La verità, qualunque essa sia, è sotto la pelle, agli angoli della bocca, nei movimenti degli occhi. Traiettorie di sguardi. La danza dei sentimenti non segue il sincopato ritmo della musica jazz che si ascolta nei locali, fra alcol e sigarette, si esprime in un altro tempo, misterioso e sinuoso, ne riconosciamo i passi, i gesti, fino a quando si impossessano di noi e non possiamo più tirarci indietro. La gelosia. E i suoi giochi. Gli scatti d’ira, le parole inappropriate, le paure. I silenzi che si riempiono di dubbi. Questo avviene in un luogo pieno di sfumature, un luogo spesso non visibile perché è dentro di noi, ma la regista, Rebecca Hall, riesce con raffinato pudore a ricostruirlo sulla scala dei bianchi e dei neri, con il nascere e il trasformarsi delle emozioni che sono i volti delle attrici (Te

Raw, Julia Ducournau, 2016

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  Pruriti, rush cutanei, (im)possibili allergie alimentari. La carne. La carne. Sanguinolente trasformazioni, segrete prese di coscienza, il sesso è anche divorarsi a vicenda, mordersi, cibarsi dell’altro. Il sangue e le donne. La verginità. Il ciclo mestruale. Atti di cannibalismo come scoperte di piaceri proibiti. Il sapore della pelle. La fame. La dipendenza. Come procurarsi il cibo . Nei meandri della visione: Pasolini, Romero, Cronenberg, Ferrara, Gaspar Noè senza l’uso di sostanze allucinogene. Ritornando nella storia, nel suo snervante evolversi, un senso di fastidio, di insofferenza, non per le immagini, ma per il continuo strisciante desiderio di scioccare, di portarci nel disgusto senza che ce ne sia bisogno, feticismo visivo, quello che nausea è il contorno, l’ambiente universitario con tutti i suoi atti di sopruso e umiliazione e il compiacimento , da parte della regista, nel mostrarli, nel renderli pubblici - I festini, le pasticche, i pompini omosessuali, la violenza psic

Ane, David Peréz Sañudo, 2020

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La A di Ane, nel nome scritto sulla porta della sua camera, è diventata quella che simboleggia l’Anarchia. La ragazza sta crescendo e nella confusione dell’adolescenza sembra aver trovato una via, che passa attraverso i centri sociali e le azioni sovversive. La mattina presto, davanti ad un piatto con una tostada , Lide, sua madre, dopo una notte passata a bere&ballare, aspetta la figlia che non è ancora tornata. Il silenzio della casa, il vuoto di una sedia. Sarà la prolungata assenza di Ane a mettere Lide in uno stato di agitazione emotiva e a farle iniziare un’indagine personale nel tentativo di ritrovarla. La pellicola si tinge quindi di sfumature noir sotto i plumbei cromatismi dei Paesi Baschi, ci si muove non solo in frammenti di società in cui aleggia sempre un senso di disadattamento e ribellione (agli stereotipi, alle istituzioni, al lavoro) ma anche in territori più interiori in cui prendono forma le incertezze, le ansietà e le paure di una madre che nella separazione d

Viridiana, Luis Buñuel, 1961

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  C’è la presenza di un feticismo delizioso fra le immagini di Viridiana . Un paio di scarpe laccate, un corsetto, delle gambe nude. E di oggetti che potrebbero essere il passatempo favorito di un masochista: una corona di spine, dei chiodi, un martello, un enorme crocifisso. E di simbolismi vari disseminati per il resto della pellicola. La mungitura ( milking ), per chi se ne intende, è una pratica sublime. Buñuel scardina con estrema intelligenza alcuni valori della morale cristiana (la castità, il sacrificarsi al prossimo) e lo fa soprattutto attraverso l’arrivo di un gruppo di miserabili che rappresentano i pregi e le schifezze ma anche la volgare vitalità della natura umana. Allergici al lavoro (sia per menomazioni fisiche  che, soprattutto, per mancanza di volontà) e dediti a una preghiera di pura apparenza  (la sequenza con montaggio alternato in cui recitano l’angelus e i lavoratori faticano) i miserabili approfitteranno di prendere tutto quello che possono assecondando Viridi

La inocencìa, Lucìa Alemany, 2019

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  Si apre in modo abbastanza esplicito questo film, con delle ragazze seminude sedute su un camion-cisterna in movimento, da cui esce un getto di acqua che inonda le strade. Le ragazze sono a cavalcioni e a gambe aperte. Il simbolismo appare evidente. E’ infatti la carica sessuale e la maniera di esprimerla quella dalla quale scaturisce l’energia vitale che vibra e sorregge l’intera pellicola. E lo scontro fra di essa e le regole di una microsocietà chiusa e bigotta (ci troviamo in un piccolo paesino della provincia valenciana) nella quale alcune ragazze, fra cui Lis, la protagonista, vivono e crescono. E le dinamiche, gli scontri, i rituali obbligati (la discoteca, i baci, il sesso, le prime sostanze stupefacenti, la scuola, la processione) vengono registrati in maniera quasi documentaristica dalla regista, Lucìa Alemany, che mette in gioco molto di suo, della sua storia personale, in questa opera prima e lo si nota non solo a livello narrativo ma anche dal poco distacco che lascia fr