Raw, Julia Ducournau, 2016

 


Pruriti, rush cutanei, (im)possibili allergie alimentari. La carne. La carne. Sanguinolente trasformazioni, segrete prese di coscienza, il sesso è anche divorarsi a vicenda, mordersi, cibarsi dell’altro. Il sangue e le donne. La verginità. Il ciclo mestruale. Atti di cannibalismo come scoperte di piaceri proibiti. Il sapore della pelle. La fame. La dipendenza. Come procurarsi il cibo. Nei meandri della visione: Pasolini, Romero, Cronenberg, Ferrara, Gaspar Noè senza l’uso di sostanze allucinogene. Ritornando nella storia, nel suo snervante evolversi, un senso di fastidio, di insofferenza, non per le immagini, ma per il continuo strisciante desiderio di scioccare, di portarci nel disgusto senza che ce ne sia bisogno, feticismo visivo, quello che nausea è il contorno, l’ambiente universitario con tutti i suoi atti di sopruso e umiliazione e il compiacimento, da parte della regista, nel mostrarli, nel renderli pubblici - I festini, le pasticche, i pompini omosessuali, la violenza psicologica, le depilazioni pubiche, un dito tranciato, degradazioni canine, il braccio nel culo di una vacca e oltre a questa galleria degli orrori pornografici poi appare, inquieto, qualcosa di più profondo, il legame fra due sorelle, il loro respingersi, il loro attrarsi, l’odio che svela e nasconde il loro prendersi cura l’una dell’altra. Raw è tenuto insieme e collassa nella sua superbia autoriale dove il pudore rimane un concetto astratto, perché non c’è riflessione sulla moralità del filmabile, tutto quello che colpisce lo spettatore ha diritto di essere mostrato, quello che si cela dove l’occhio non arriva si svuota di senso, cinema indigesto, i pasti nudi sono da un’altra parte.

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