Macbeth, Roman Polanski, 1972


È un mondo barbaro, quello di Macbeth, suggellato dal naturalismo della messinscena di Polanski, tra fango, sporcizia, sangue e bestie. Un mondo magico, dove la superstizione e l’arcano trovano la loro voce (le tre streghe) e influenzano gli eventi e le decisioni dei personaggi. Un mondo e un tempo che sembrano dialogare anche con quello in cui il film è stato girato, i primi anni settanta, grazie alla musica di un gruppo di quel periodo (Third Ear Band), giovani attori dalle sembianze hippy (Finch, Annis), i soldi di Hugh Hefner di Playboy come produttore e la presenza di notevoli momenti allucinatori e psichedelici (la visione del pugnale, quella indotta dall’intruglio bevuto da Macbeth al sabba delle streghe, le apparizioni di Banquo sventrato) che ci fanno pensare alle droghe dell’epoca, lsd e magic mushrooms, in un trip andato veramente a male. 

Roman Polanski si immerge totalmente in questa misteriosa dimensione, lasciandosi affascinare e sedurre dagli scenari naturali della Scozia e del Galles, con piani lunghi che ne catturano la bellezza e in cui poi si inseriscono le composizioni figurative degli uomini prima della battaglia o dell’assedio, delle lance, i colori degli stendardi, i loro movimenti. Ancora più dentro quegli spazi, naturali o ricostruiti che siano, la macchina a mano a seguire lo svolgersi dell’azione, pedinando gli attori, afferrandone le gesta, quelle che dalle parole di Shakespeare si trasformano in immagini che catturino il compiersi di una tragedia e la sua sanguinosa macchinazione. Un testo che scava in profondità nell’animo umano, fino a svelarne le più intime contraddizioni e anche una resa all’assurdità e all’inutilità della vita, osceno palcoscenico sul quale ci muoviamo come ombre. 

La violenza, le uccisioni, i tradimenti, gli stupri, le esecuzioni. Morbosamente attratto da queste possibilità di sadismo Polanski ce le rimanda senza filtri, in un’orgia di macabra  fascinazione dell’orrore, sublimata dall’incontro sabbatico di vecchie nude e salmodianti, moltiplicata nel gioco di specchi nel quale Macbeth si trova a riflettersi nella speranza di una nuova divinazione che lo lasci impunito delle sue azioni. Eppure, come sappiamo, non c’è salvezza e i criptici indovinelli delle streghe porteranno solo rovina a Macbeth e consorte, impazzita e suicida, nuda in attimi di sonnambulismo rivelatore, mentre si sfrega le mani, nell’orrida reminiscenza dell’assassinio del Re Duncan.


 

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