Mullholand Drive, David Lynch, 2001

 


La chiave e la scatola blu e i mondi che essa racchiude. La chiave di lettura è la scatola blu. E se l’intero film non fosse altro che un testo ermetico che solo gli iniziati che ne conoscono l’alfabeto segreto possono comprendere? Pieno di simboli, personaggi, luoghi che rimandano a qualcos’altro, non decifrabili da subito e da tutti, nell’immediato, un racconto per immagini oniriche e cinematografiche che può essere inteso oppure totalmente frainteso e più sono i livelli del subconscio in cui si scende per cercare un significato e più ci si perde nel labirinto della psiche e in quello del cinema stesso - Gli elementi delle storie a cui assistiamo mentre sogniamo sono archetipici in quale misura? In quella in cui ci sono immagini o situazioni che, a prescindere dalla nostra cultura di origine, ricorrono nei sogni di tutti gli uomini? Oppure è il racconto cinematografico che ha generato nei sogni degli uomini elementi che si ripetono e si assomigliano e si ritrovano nelle nostre esperienze oniriche? In fondo, nell’ultimo secolo, lo schermo della sala ha materializzato la nostra misteriosa abilità di andare in altri luoghi e vivere altre vite durante la notte - In Mullholand Drive non sappiamo quasi mai quando si passi dallo stato di veglia dei personaggi a quello in cui sognano, possiamo fare supposizioni piuttosto inutili o abbandonarci senza pensare in maniera razionale alle logiche differenti che strutturano un sogno e quindi assorbire nella nostra mente queste bizzarre situazioni, questi personaggi che ritornano in ruoli diversi, attrici e attori e produttori e registi che si muovono in un limbo di realtà sempre sul punto di alterarsi o di trasformarsi o di impazzire o di svanire. Silencio. Il Club nel quale Rebekah del Rio canta Llorando e in cui le illusioni vengono svelate, perché così è ogni film e questo è il patto tra noi e loro e la magia che queste visoni contengono e le strade buie, le corse in macchina e un incidente e la memoria malleabile di non sapere chi si è, un nome, un altro, un volto, un taglio di capelli, una borsetta piena di soldi, un provino, un viso radioso e sorridente prima che ci si risvegli dall’altra parte, nell’invidia, nel dolore di un amore non corrisposto, scene di masturbazione compulsiva su un divano, con il corpo e lo sguardo e gli occhi di lei che ti tormentano e scatti nella percezione ottica, elementi fuori fuoco (walk with me), come se le droghe iniziassero a fare effetto e non ci ricordassimo più di essere morti o di essere stati vivi in un’altra storia - Sequenze in una tavola calda, due personaggi che parlano e uno racconta all’altro che quella stessa scena è già successa in un sogno o forse questa non è altro che la prova per quell’altra scena e quindi bisogna ripetere i gesti e le battute perché non sappiamo mai da che parte ci troviamo e poi fuori, in un vicolo, un volto antico e mostruoso, una maschera tragica che porta con sé un messaggio che solo in pochi potranno penetrare. La scatola blu. E la chiave in una borsetta e la scatola si apre e il tempo si ferma e viene rapito e tutto si capovolge e comincia di nuovo. Spirali e cerchi concentrici e linee temporali spezzate e sale nel sottosuolo dove un nano su una sedia a rotelle parla con un microfono attaccato alla gola attraverso una parete di vetro  - E se ci trovassimo altrove, ancora in uno dei mondi sconosciuti e paralleli di Twin Peaks? Poi torniamo alla superficie, nelle prime immagini di una serie Tv americana, quindi perché cercare una logica razionale in questo regno di continua insubordinazione surreale? Dove tutto è vero perché filmicamente possibile e quindi frutto di una alchemica finzione - Un cowboy, qualcuno lo vedrà una sola volta, qualcuno lo vedrà una seconda, erotismo vibrante nei corpi delle due donne, lacrime sulle guance, esplosioni di vernice rosa, carezze, bugie, colpi di pistola.  E poi. Silencio.


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