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The Abonimable Dr. Phibes, Robert Fuest, 1971

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  Messinscena barocca per cuori romantici, nel compiersi di una vendetta biblica contro i possibili fautori di una prematura morte. Affinché l’amore si ricomponga nelle tenebre e ciò che era stato diviso possa riconciliarsi nell’eternità. Il Dr. Anton Phibes, interpretato dall’istrionico Vincent Price, mette in pratica con estrema lucidità, fantasia ed efficienza il suo piano di uccisioni, rifacendosi alle dieci piaghe scagliate da Dio in Egitto. La trama, quindi, si costruisce sull’accumulo di questi ingegnosi assassinii, alternandoli alle indagini della polizia e ad alcuni stravaganti momenti musicali, in cui Phibes si esibisce all’organo, in una stanza alquanto psichedelica, accompagnato da una banda di suonatori meccanici e dalla presenza dell’amabile Vulnavia, sua taciturna assistente. Le bizzarre atmosfere conferiscono un tocco di genuina perversità al gioco al massacro a cui assistiamo, fra ambienti in stile decò e liberty, sotto l’influsso di canzoni che rielaborano standard j

Fat City, John Houston, 1972

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  Una storia che sembra scritta da Bukowski, anche se l’autore è un altro (Leonard Gardner) e che ne racchiude l’anima, nelle sue descrizioni di perdenti e falliti, pugili e ubriaconi. Perfettamente inserito in quella malinconia tipica di molti film dei primi anni settanta, specialmente nella bellissima sequenza di apertura, sulle note di una canzone di Kris Kristofferson, Help me make it through the night - Una piccola stanza di un albergo, le finestre aperte, le bottiglie di liquore sparse, il letto sfatto, le lattine nel cestino, un pacchetto di sigarette, un accendino che non si riesce a trovare - E John Houston ci racconta, a suo modo, questo squarcio di società, sul baratro della miseria, fra le assolate strade di Stockton, California con le sue skid rows, vie della povertà piene di neri e miserabili e accattoni di ogni tipo - Gli allenamenti e gli incontri di pugilato, i lavori nei campi, con gli immigrati al fianco, il tentativo di rimettersi in forma, quando ogni possibilità

Over the Edge, Jonathan Kaplan, 1979

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  Uno dei ragazzi, in classe, mentre su uno schermo stanno proiettando delle immagini dei quadri di Bosch inizia ad avere i primi flash visivi, rendendosi conto che la sostanza che aveva ingerito prima non era speed ma LSD. Giusto per rendersi conto di quanto era facile reperire sostanze stupefacenti all’epoca e della candida ingenuità giovanile nell’assumerle senza neanche sapere di cosa si trattasse. Non che le droghe siano poi il problema principale del film: erba, fumo, acidi, alcol e sigarette, vengono usati più per svago e noia che per soddisfare una dipendenza. La violenza insita nell’energia vitale dell’adolescenza sembra di più essere il fulcro attorno al quale una storia abbastanza ordinaria di ribellione e morte si sviluppa. Aleggiano quesiti sui sistemi educativi, su come far rispettare l’ordine (la strada della proibizione e della punizione è da sempre quella sbagliata), sul ruolo dei genitori nei confronti dei figli ma non che siano realmente importanti e in fondo sono i

The Zone of Interest, Jonathan Glazer, 2023

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  È un momentaneo blackout della memoria, quello da cui emergono rumori e poi suoni, un magma noise straniante, una zona della ragione dove il rimosso diventerà presente, come manifestazione non visibile di un passato che ancora sconvolge (i campi di sterminio) e verso il quale prende forma, ad autodifesa della vita di una famiglia tedesca (quella di Rudolf Höss), la messinscena della normalità del quotidiano (luce naturale e macchine da presa nascoste che spiano gli attori), attraverso una narrazione temporale frammentata e discontinua e il ripetersi di gesti e azioni: la cura del giardino, il crescere i figli, i momenti di svago, le faccende domestiche, il mandare avanti una casa o Auschwitz con la stessa fredda e distaccata efficienza. Non che questo accresca l’orrore, anzi lo inquadra in dinamiche semplici e riconoscibili, come sono quelle all’interno di una famiglia borghese o come possono essere le logiche di produzione e sviluppo, di miglioramento dei risultati, di capitalizzazi

La Comunidad, Alex de la Iglesia, 2000

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  La cifra stilistica di questa opera è quella del pastiche e della contaminazione di generi, una delle caratteristiche principali del postmoderno, secondo alcuni teorici. Insieme alla scrittura di testi filmici che si basino su elementi di altri film o sulla rielaborazione narrativa (anche in chiave parodistica, come in questo caso) dell’immaginario cinematografico collettivo. Alex de la Iglesia parte da Hicthcock e Polanski (l’Inquilino del terzo piano) e popola il suo strambo condominio di quella vitalità tanto cara ad Almodóvar, del quale ritroviamo anche l’uso del colore e un’attrice feticcio, Carmen Maura, nella parte di Julia. Per il resto il film non è altro che un gioco del regista con lo spettatore, con l’intenzione del primo di spiazzare sempre la visione del secondo inscenando le situazioni più grottesche. A volte si scivola nella commedia altre nell’orrore, con sangue e violenza ingiustificata, altre ancora nella parodia ed è qui che si manifesta la contaminazione di gen

Vultures (Havoc Version), Jon Rafman, 2023

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  Visioni apocalittiche del nuovo millennio, flusso ipnotico, aberrante, distopico, straniante creato da una AI sotto l’effetto di sperimentali sostanze psicotrope (somministrate dall’artista Jon Rafman). Costante morphing di bizzarre figure, sgranate e grottesche, che si muovono, a bassa definizione, nelle immagini, come all’interno di una disturbante sequenza onirica, animali e esseri incappucciati, gang e armi, estetica sadomaso e deriva da dungeon dannato, elettronica rielaborazione delle raffigurazioni infernali di Bosch e Brueghel, nella deformità della specie e nella sua aberrante e indemoniata alterazione. Primitiva e feticistica ipotesi di un’altra realtà futura formulata da renderizzazioni randagie, contraffatte e autonome - Saranno le macchine e la loro immaginazione digitale e deviata a creare gli scenari cinematografici del domani? Ci ritroveremo sul bordo dell’abisso, sui limiti dello schermo, senza osare chiederci cosa si nasconda nel fuoricampo? Probabilmente gli esseri

Poor things, Yorgos Lanthimos, 2023

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  Favola retrò (nei costumi, nelle ambientazioni), gotica (nella rielaborazione della figura di Frankenstein), illuminista (nei princìpi) e moderna (nel desiderio di emancipazione della donna) che analizza e ripropone sotto lenti deformanti e ironiche l’eterna lotta fra maschile e femminile, tra queste due forze che regolano e controllano il mondo e l’universo. Nelle dinamiche umane le ritroviamo come forme di dominazione e sottomissione, psicologica quanto culturale, anche se la loro vera origine resta un’altra, quella sessuale. Sarà infatti il risveglio erotico di Belle Baxter la vera spinta che la metterà in costante confronto con la realtà e la società (di matrice vittoriana) che ha intorno e verso la quale non nutre nessuna inibizione dettata dal conformismo. Belle, in quattro creatura di pura immaginazione, è uno spirito libero in un corpo (ricostruito, ricreato) che non conosce regole morali. Il costante dialogare con sé stessa (l’uso della terza persona invece della prima) la p