Lucy, Luc Besson, 2014
Sostanza interessante questo CPH4, in grani di colore bluastro, probabilmente solubile, di potenza strabiliante. Dosaggi non specificati. L’effetto come droga ricreativa da immettere sul mercato non è chiaro, ma quello che produce nel corpo e nella mente di Lucy (Scarlett Johansson, amata in Lost in Translation) è a dir poco stupefacente. Alla giovane ragazza vengono totalmente aperte le porte della percezione, con la possibilità di arrivare al centopercento dell’uso delle proprie capacità mentali (ci si chiede invece quante delle sue ne abbia usate Luc Besson per realizzare questo film). Alcuni effetti visivi della sostanza sembrano simili a quelli dell’acido lisergico (Lucy in the Sky with Diamonds) e della psilocibina, come vedere la linfa scorrere negli alberi, ad esempio. Altri paralleli possono essere fatti con la capacità di sentire che le sostanze psichedeliche sopra citate danno la possibilità di sperimentare direttamente a chi ne fa uso, come ritornare nell’utero materno o riconnettersi con ricordi molto remoti dell’infanzia o anche assaporare il contatto diretto con il tutto, visto che si diventa il tutto e non ci sono più barriere o divisioni fra il dentro e il fuori.
Morgan Freeman (che dimostra ancora una volta di essere un attore immenso solo riuscendo a dare credibilità al suo personaggio) illustra alcune teorie sull’evoluzione dell’essere umano e del suo cervello, dall’australopiteco femmina Lucy, omonimo della protagonista, fino ai giorni nostri. Ribaltando il punto di vista in cui ci si stupisce di quanto fatto dall’uomo dalla sua venuta su questo mondo fino ad oggi con solo l’uso del diecipercento del proprio cervello e pensando alla possibilità reale che adesso egli possiede di distruggerlo (grazie alle bombe atomiche, ad esempio), ci si chiede se non fosse stato meglio rimanere direttamente allo stato primordiale e vivere in armonia con la Natura e seguire senza tentare di alterarli i suoi cicli di creazione e distruzione. Scrive Cioran - Invece di limitarsi alla selce e, in fatto di raffinatezze tecniche, alla carriola, egli inventa e maneggia con abilità demoniaca arnesi che proclamano la strana supremazia di un deficiente, di uno specimen biologicamente declassato che nessuno avrebbe potuto immaginare capace di innalzarsi a una nocività così ingegnosa.
Poi Besson (amato per Leon) si sbizzarrisce in inseguimenti, sparatorie, carneficine e deliri psichedelici vari. Incassi stratosferici al botteghino, leggo da qualche parte, segno che il regista francese, poi, tanto stupido non è.
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