Poor things, Yorgos Lanthimos, 2023
Favola retrò (nei costumi, nelle ambientazioni), gotica (nella rielaborazione della figura di Frankenstein), illuminista (nei princìpi) e moderna (nel desiderio di emancipazione della donna) che analizza e ripropone sotto lenti deformanti e ironiche l’eterna lotta fra maschile e femminile, tra queste due forze che regolano e controllano il mondo e l’universo. Nelle dinamiche umane le ritroviamo come forme di dominazione e sottomissione, psicologica quanto culturale, anche se la loro vera origine resta un’altra, quella sessuale. Sarà infatti il risveglio erotico di Belle Baxter la vera spinta che la metterà in costante confronto con la realtà e la società (di matrice vittoriana) che ha intorno e verso la quale non nutre nessuna inibizione dettata dal conformismo. Belle, in quattro creatura di pura immaginazione, è uno spirito libero in un corpo (ricostruito, ricreato) che non conosce regole morali. Il costante dialogare con sé stessa (l’uso della terza persona invece della prima) la porta a domandarsi sempre in maniera diretta e schietta l’esito e il significato delle sue azioni, senza filtri etici, se non quelli che l’empirismo dei suoi processi cognitivi le suggeriscono.
Madre e figlia, innocente creatura e vogliosa e giocosa puttana (epiteto maschile che molte volte tende a crocifiggere ogni donna che, giustamente, voglia scoparsi quanti uomini vuole) Belle approfitta di alcune improvvise difficoltà finanziare per lavorare in un bordello, dove, messa davanti e di dietro a tutte le più svariate fantasie e perversioni erotiche, conquisterà un’indipendenza non solo economica ma squisitamente esistenziale. A suo confronto le figure maschili della pellicola vengono quasi tutte ridicolizzate (Duncan Wedderburn, Alfie Blessington, Max Mc Candels), si salva, in parte, il suo creatore e mentore, l’eclettico e anticonvezionale Dr. Godwin Baxter, a sua volta vittima della scienza (il padre medico era anche un sadico torturatore) e allo stesso tempo suo devoto servitore. Interpretato da un Willem Defoe sardonico e deturpato e impareggiabile al suo arrivo al matrimonio di Belle dopo aver assunto un favoloso mix di eroina, anfetamine e cocaina.
Imparando di nuovo tutto da capo, dal camminare al parlare, Belle Baxter (al cui personaggio l’attrice Emma Stone aderisce in maniera quasi totale, scene di sesso comprese) simboleggia quella libertà che la società patriarcale ha sempre voluto negare alle donne, relegandole ai margini e costringendole a una semplice funzionalità riproduttiva e di accudimento della specie.
Partendo da un romanzo di Alasdair Gray, Yorgos Lanthimos elabora un film con accurata attenzione verso i molteplici aspetti che la magia cinematografica propone. I colori pastello e vivaci, le architetture decò e liberty sia degli esterni che degli interni, gli sgargianti e originali abiti, ci trasportano in un regno di fantasia dove si esibiscono e prendono vita i personaggi, quasi fossero marionette di un teatro dell’assurdo, in cui i dialoghi non nascondono la recitazione ma la sottolineano e gli attori pronunciano a comando le battute di una sceneggiatura che vuole esporre le sue tesi in maniera fredda e distaccata, per non perderne i significati a discapito dell’emozione. La musica ha un effetto simile, rarefatta e stridente, sembra sottolineare i momenti topici più per entrarne in contrasto che per amplificarne la portata. Le città in cui progredisce la storia (Londra, Lisbona, Alessandria, Parigi) sembrano i doppi onirici dei luoghi reali, piene di meraviglie e invenzioni visive. Quanto più l’apparenza è sgargiante e ricca, tanto l’essenza è povera e incolore. Sarà solo l’anima di Belle a brillare di luce propria e a illuminare brevemente chi gli passerà intorno. Nella prima parte del film il regista opta per un bianco e nero racchiuso in obiettivi grandangolari che alterano le proporzioni degli ambienti, inducendo una percezione diversa, in modo che anche la macchina cinema risulti affetta dalle stesse deformazioni di Belle e di Baxter, poi i cromatismi più violenti ci trasportano in altri luoghi e spazi che fanno riguadagnare al cinema il suo potere creativo di luogo deputato dell’immaginazione. E tra questa e il fervore analitico della ragione ci ritroviamo a riflettere sul nostro mondo e alle povere creature che siamo diventati, in attesa della prossima, paradossale forse inutile, evoluzione.
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