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Visualizzazione dei post da novembre, 2024

Paterson, Jim Jarmush, 2016

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Paterson è anche e soprattutto una pellicola sul tempo, quello del racconto cinematografico, quello della vita quotidiana, con le sue ripetizioni, le attese, le improvvise accelerazioni. Un tempo ciclico e frammentato, fatto di segmenti che si incastrano come i versi di una poesia, in quella routine che diventa lirica, una volta trasformata in parole, che Paterson scrive sul suo quaderno, nei momenti in cui l’ispirazione arriva e lo porta via con sé. Jarmusch costruisce questa quarta dimensione attraverso i perimetri non lineari del film, un luogo mentale e visivo dove si amalgamo i pensieri e le emozioni del protagonista e le immagini fluide della città in cui vive e che attraversa ogni giorno alla guida di un autobus. Poi la casa in cui vive, con una donna e un cane, nell’ammassarsi degli attimi di una vita normale, lenta, in cui lo spirito artistico della compagna rielabora e scompiglia il vissuto comune in nuove prospettive, bizzarri progetti, geometriche innovazioni. In questo sco...

The Substance, Coralie Fargeat, 2024

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  Coloratissimo trip pop à la Cronenberg nello showbiz della carne, nella sua alterazione e deformità, quando una sostanza sperimentale viene iniettata nell’organismo e dalla matrice (Demi Moore) si duplica una copia migliorata (ma solo nell’aspetto fisico, Margaret Qualley) dell’originale. E così l’eterno dilemma della bellezza femminile perduta, che gli anni corrodono e fanno svanire, potrebbe essere risolto, se non fosse per l’inestinguibile vanità che divora le donne, che davanti a uno specchio, rimangono stregate e conquistate dal loro riflesso. Ritratti di Dorian Gray in versione aerobica, dove il corpo diventa simbolo del potere mediatico dei nostri tempi catodici, sezionato nei suoi scintillanti dettagli pornografici, in un’orgia di chiappe e labbra danzanti, una ipnotica e rosea e svergognata esaltazione di superfici epidermiche ingigantite dal grande schermo, nella ricerca di quell’amore, quella venerazione che ogni attrice desidera e anela prima di incamminarsi sul prop...

Il rito, Ingmar Bergman, 1969

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  Ritualità dionisiache per la (ri)nascita della tragedia, vesciche di vino, albe e costumi sadomaso, maschere grottesche ed enormi falli di legno, orgiastiche funzioni bacchiche prima del sesso, non consumato, invisibile eppure presente nella sua negazione - Testimonianze e confessioni di piaceri femminili, una mano nella vagina e l’altra sul clitoride e poi tutto diventa possibile, stanze e interrogatori, giudici kafkiani dalla copiosa sudorazione, la violenza come forma di eccitazione, gli schiaffi e le lacrime perché non c’è posto per i baci nell’esplosione degli istinti - Personalità che si travestono e si sdoppiano e corrono sul limite tra realtà e finzione, labili confini in cui l’altro diventa sé stesso e viceversa senza fratture se non quelle della psiche, scandagliata, scossa, fremente e terrorizzata - Confessioni e accuse, ebbrezze alcoliche a scardinare il proprio ego, segmenti narrativi come fossero scene teatrali, ambienti spogli, successioni di primi piani su attori ...