Parthenope, Paolo Sorrentino, 2024
Ritorniamo sulla bellezza (vuota, epidermica, patinata) e quale orrore in tutto ciò (compresa la solita citazione iniziale di Céline), quale orrore nella giovinezza, nei corpi tonici e abbronzati, nei rallentamenti da rotocalco di azioni inutili, tese ad afferrare lo scorrere del tempo, quell’attimo già passato, quella vanità femminile così sfibrante. L’orrore di un film che gira intorno a un corpo come fosse simbolo di una città, una psiche marina e mutevole che ne vorrebbe mostrare i molteplici aspetti, i tanti volti, le molte anime, l’orrore di essere spettatori, di stare a guardare senza neanche sapere più perché, giusto il nome di un regista che da qualche parte ci ricordavamo di aver apprezzato, mentre il senso di fastidio cresce con il fluire delle sequenze e striscia sottopelle e con esso la certezza che quello che una volta era stile ora non sia altro che reiterata maniera. Paesaggi, squarci, segreti, misteri, lacerazioni interiori, colpe, tutti frammenti di un mosaico ...