Hearts of Darkness: A Filmmaker's Apocalypse, Fax Bahr and George Hickenlooper, 1991

 


Siamo davanti a una personalità ai limiti (distrutti e oltrepassati) della megalomania, nella tradizione orwelliana di progetti impossibili da realizzare e per questo magnificamente cinematografici - Coppola pose se stesso in un Vietnam creativo e personale, una guerra aperta contro ogni definizione possibile dell’essere director, in un’epopea bellica della mente e dell’anima, del pensiero e della morale,  della libertà e della sua ricerca, da stravolgere e violentare con atti di estatica passione filmica, fra disastri e imminenti fallimenti finanziari, tifoni, accordi e disaccordi governativi, attori in avanzato stato di degenerazione psicotica e fisica, Charlie Sheen che urlava ubriaco davanti a uno specchio, Dennis Hopper arlecchino fotografico smarritosi in una personale dimensione allucinatoria, Marlon Brando in piena metamorfosi elefantiaca - E poi fra gli amici, John Milius che racconta la genesi del soggetto con un sorriso da camerata eccitato per il sangue che si dovrò spargere - Quella della New Hollywood fu una generazione di registi che aveva riscritto il modo di fare film, nel tentativo di organizzarsi in maniera indipendente (la Zoetrope) lontano dagli studios e Apocalypse Now segna il punto di non ritorno di questa visione autoriale (e autoritaria) di girare pellicole - Coppola con al seguito truppa e famiglia ha passato mesi e mesi nelle Filippine nella realizzazione per immagini di una esperienza artistica estrema, lo vediamo dietro la macchina da presa e quella da scrivere, sul set lisergico di un’apocalisse visiva, a gesticolare, a parlare, a impazzire, a organizzare, a confrontarsi con il cuore di tenebra del cinema stesso, con ciò che non è la luce di un proiettore a mostrare, ma tutta l’oscurità che intorno l’avvolge.

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