Il caso Mattei, Francesco Rosi, 1972
Il petrolio. Il metano. I pozzi. Nord Africa, Pianura Padana, Iran, Sicilia. Punti di un mappa geografica di strategie politiche ed economiche. Un aereo in volo, a segnare segrete connessioni. Un incidente. Un disastro. La morte di Enrico Mattei. Ricostruiamo i fatti, come fossero un mosaico i cui tasselli sono gli stessi della storia italiana dal dopoguerra fino agli anni sessanta. Rosi elabora un personale linguaggio cinematografico, stratifica e frammenta il racconto tradizionale, in cui in un continuum spaziotemporale diegetico si alternano documenti, interventi, immagini di repertorio, attori, personaggi reali, fiction e cronaca. Volontè è un gigante che troneggia sul mondo delle immagini, nel corpo e nei panni di un uomo che vuole porsi al di sopra di tutto, forse anche per questo ossessionato dal volo, posseduto da un desiderio di grandezza che diventa un’iperrealista rappresentazione di qualcuno in perenne movimento, votato alla velocità, in una machiavellica girandola di incontri, luoghi, contatti. Tutto sembra essere connesso in questo film, nel senso più contemporaneo del termine, ancora prima della rete, il cinema di Rosi è pura avanguardia, insieme alla musica di Piccioni che pulsa cupa e elettronica come il battito cardiaco di un cuore di tenebra che freme per il potere e il suo ottenimento.
Mattei sembra irrefrenabile, in un delirio di potenza che nessuno può ridimensionare, alcuni lo seguono, nei suoi spostamenti, nel deserto, su una piattaforma di estrazione nel mare, a casa e lui parla in maniera costante, in una dialettica con sé stesso e con i suoi interlocutori e intanto la sua storia si ferma, torna indietro, prosegue, va in frantumi come i pezzi dell’aeroplano del presidente dell’ENI che qualcuno, in un capannone industriale, ha tentato di rimettere insieme. Rosi indaga, domanda, scava, ci mette la faccia, la voce, l’intelletto, forse il cuore. E il cinema diventa una complessa arma di narrazione, di coscienza civile, di ricerca artistica, di esplorazione semantica, perché è il linguaggio stesso dell’opera ad essere oggetto di una continua trasformazione e rimodificazione, non tanto per trovare delle risposte quanto per riportare attraverso di esso la complessità di una realtà, quella italiana dell’epoca, che forse solo sua rielaborazione filmica avrebbe potuto spiegare. E capire. Ci aveva provato anche Pasolini con la sua ultima opera incompiuta, non a caso un’insieme postmoderno di appunti. Dal titolo, Petrolio.
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