Kukushka, Aleksandr Rogozhkin, 2002
Una natura selvaggia, quella della tundra, magnifica e libera dal condizionamento umano. Chi vive al suo interno ne rispetta i cicli e si nutre di ciò che essa offre. Questa natura incontaminata è un testimone avvolgente che riesce ad abbracciare l’animo umano, anche nelle sue miserie, quelle create dalla guerra - Un cecchino finlandese (Veikko) viene incatenato ad una roccia. Un soldato russo (Captain Ivan Kartuzov) viene ferito. Una donna lappone (Anni) li accoglierà nella sua rudimentale capanna e si prenderà cura loro, diventandone poi l’amante. Ci sono barriere linguistiche che verrano sorpassate dall’esigenza di comunicare, di spiegarsi, di venirsi incontro. Attraverso un registro filmico che sfiora il dramma e il comico questa opera vuole essere sopratutto una dichiarazione antimilitarista e di intelligente rifiuto dell’inutilità di combattere e morire per una causa bellica, qualunque essa sia. Aleksandr Rogozhkin, il regista, ci racconta dunque di questo bizzarro triangolo amoroso, in cui saranno i desideri del corpo ad unire, trasformando la sessualità in una forma di fugace fusione, di dialogo carnale, di linguaggio universale per il raggiungimento di una felicità transitoria e fuggente, così umana e necessaria.
Nella prima parte del film, quasi tutta l’attenzione registica viene data ai ripetuti tentativi di Veikko di spezzare la catena che lo lega (simbolicamente e no) al macigno dell’esercito. Il montaggio di una serie di dettagli di elementi naturali che lo circondano e di oggetti che gli appartengono costruisce le dinamiche delle azioni con le quali cerca di liberarsi. In un climax visivo ed emotivo di fallimenti e nuovi tentativi. Fino al momento in cui potrà di nuovo muoversi e allontanarsi dal suo destino che sembrava già segnato. Disertare, dunque, diventa un atto di rivolta e di riconquista della propria identità e dignità di uomo oltre le bandiere e le appartenenze etniche e nazionali.
Il suo incontro con Anni e con l’altro soldato segnerà una svolta nel ritmo della pellicola, rallentandone il respiro, in modo da farci entrare in uno stile di vita rarefatto e armonioso (quello della donna), denso di fatiche, nella totale assenza di qualsiasi forma di tecnologia e comodità, in un perfetto equilibrio con la natura circostante. Fra i due soldati l’incomunicabilità verbale si risolve in maniera farsesca, creando, a volte, momenti divertenti e stralunati. Rimarrà comunque, visibile, l’astio del tedesco per il finlandese, soprattutto come espressione di quei sentimenti umani, come la gelosia, che persistono anche quando ci si riappropria degli impulsi legati ai bisogni essenziali della nostra specie: nutrirsi, avere un riparo, scopare. Il suo tentativo di uccidere l’altro sarà dettato infatti proprio da questa invidia e il ritorno al mondo dei vivi di Veikko, aiutato da Anni, si trasformerà in un inaspettato viaggio sciamanico, con la donna che batte su un tamburo e parla a Veikko indicandogli il cammino per riportarlo da lei.
Kukushka è un film insolito, singolare, atipico. Ha degli elementi stilistici e narrativi che rendono semplice e diretto il suo messaggio ed è in questa chiarezza di intenti che si svela il suo significato, scarno e allo stesso tempo sincero e cioè che la nostra umanità, il nostro comune sentire, al di là di quello che sia il nostro idioma, dovrebbe essere il punto di contatto che ci unisce gli uni agli altri, facendoci posare il fucile, perché uccidere non ci farà mai conoscere chi abbiamo davanti, anche se qualcuno ci ha detto che è il nostro nemico.
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