Roma Illegale, Andrea Scarcella, 2021
Agli inizi degli anni novanta a Roma (Forte Prenestino), Ostia e da qualche parte lungo la Pontina arrivarono i rave, già illegali allora e ritornati oggi sulle prime pagine dei giornali, grazie ad un decreto legge creato dal nuovo governo appositamente per loro. Il fenomeno era già iniziato alla fine degli anni ottanta in Inghilterra, dalla quale (a causa del Criminal Justice Act del 1994)) si spostò in Europa, arrivando in Olanda, Germania, Francia, Spagna e anche nel nostro Paese. A Roma i ravers europei trovarono una loro dimora (okkupata) presso alcuni capannoni della Fintech, sempre sulla Pontina, dove si entrò in una specie di loop di musica e feste continue, crossover culturali e utopie comunitarie (a cui va aggiunto l’uso e la vendita di sostanze psicotrope, indissolubili dalla natura di questa scena) fino a una tragica conclusione con la morte di alcune persone.
Si sviluppò anche nell’area romana un vero e proprio suono distintivo, chiamato Sound of Rome, che prediligeva la musica techno (con i sottogeneri gabber e virus) e che era la base musicale delle feste illegali. Questi eventi iniziarono a richiamare parecchi giovani, sia di destra che di sinistra, che si ritrovarono così a calarsi e a ballare insieme per ore che potevano diventare anche giorni interi se non settimane. Gli elementi politici dei rave vanno sicuramente ricercati nel loro modello organizzativo: dal basso, orizzontale e senza apparenti guadagni (se non quelli ricavati dalla vendita delle pasticche). Un modello inclusivo in cui non c’era più differenza fra chi partecipava e chi suonava, il rave diventava un evento comunitario, empatico, aperto, fuori dalle logiche più evidenti del consumismo, con componenti dionisiache regalate dai battiti frenetici della musica elettronica e dall’assunzione di ecstasy. Anche l’occupazione di capannoni industriali abbandonati diventava un’azione politica, significando il riappropriarsi di spazi urbani o extraurbani per trasformarli in luoghi di condivisione e sperimentazione.
Il documentario Roma Illegale parla apertamente di tutto questo, con un punto di vista dall’interno, cercando di recuperare la storia di quel periodo, con testimonianze, interviste e una notevole quantità di materiali originali, cercando di tracciare un percorso che tenga conto di tutte le svolte, le fermate e le fughe. Perché il movimento è poi un altro degli aspetti dei rave, collegato a quello dei loro partecipanti e organizzatori, per i quali era diventato un vero e proprio stile di vita. Travelers e tribes si muovevano e vivevano i camper, camion e furgoni, spostandosi per l’Europa in cerca di spazi dove organizzare la prossima festa e allestire i giganteschi e superpotenti muri del suono, pareti di casse dalle quali vibrava e pulsava il ritmo techno.
Andrea Scarcella, regista e montatore del documentario, ricostruisce questo variegato mosaico di esperienze in un film che ci vuole raccontare un momento forse unico nel panorama della cultura alternativa italiana, arrivata finalmente a livelli paragonabili a quelli di altri paesi europei, per quanto riguarda l’organizzazione e la qualità di eventi musicali illegali.
Questo elogio della pirateria esistenziale, dell’anarchia collaborativa, del bisogno di riprendersi spazi e tempi umani, del possibile utilizzo consapevole e cosciente delle sostanze stupefacenti (prima che ci si perda nell’abuso e nel degrado) diventa il racconto di un periodo pieno di fermento e desiderio di vivere, fosse anche quello di partecipare a una festa e divertirsi, ballando fino allo sfinimento, che intanto il mondo là fuori, un modo per farti smettere di sorridere, prima o poi, l’avrebbe sicuramente trovato.
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