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Visualizzazione dei post da dicembre, 2022

The Lighthouse, Robert Eggers, 2019

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  Racconti e leggende d’oltremare. I fischi dei gabbiani e il suono ripetitivo e ipnotico di una sirena antinebbia. La pioggia, il rumore del vento, la voce della tempesta. Le assi di legno del pavimento, gli oggetti, i macchinari. I visi sporchi, invecchiati, deformati dalle risate alcoliche, quando nella notte i labili confini dell’umanità svaniscono e ci si ritrova a danzare e cantare nell'estasi di un mondo atavico e misterioso, mitologico e visionario. Deliri sessuali in esplosioni masturbatorie di grida, sudore e sperma. Fantasie onanistiche di amplessi marini con sirene distese su rocce di piaceri primordiali, i capezzoli duri di salsedine, la fica come una ferita pulsante e accogliente. La luce, le visioni prismatiche della lanterna del faro, altri impossibili accoppiamenti, altri eccessi di puro erotismo allucinatorio - Il passare dei giorni, i lavori da svolgere, le dinamiche di dominio e sottomissione, le umiliazioni, gli odori nauseabondi del corpo, i gas intestinali, 

Vertigo, Alfred Hitchcock, 1958

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  Quadri allucinatori nella cornice di una ossessione. Sin dai titoli di testa (Saul Bass), con i giganteschi dettagli di occhi e labbra. Le bugie delle parole e le storie che gli sguardi inventano. Poi composizioni geometriche in movimento concentrico. Spirali ottiche. Sequenze in cui i colori pulsano e le figure si stagliano oltre lo spazio, in silhouette che cadono nel vuoto. Vertigine non è solo quella provata guardando in basso è anche e soprattutto quella dell’ascesa, della salita, del climax dell’orgasmo. Possibili letture sessuali. La torre come simbolo fallico e un uomo ridotto all’impotenza. La guarigione attraverso la morte e il sacrificio di una donna amata. Amata e ricostruita. Amata e (re)inventata. Nei gesti, nei vestiti, nel portamento. Nella tinta dei capelli. Doppi che si svelano e sovrappongono. Dettagli impressi nella memoria. Immagini pittoriche, cromatismi così saturi che sembrano appartenere a luoghi onirici. Il rosso avvolgente delle pareti di un ristorante. Col

Gummo, Harmony Korine, 1997

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Ancora kids e anche gente più cresciuta, nei sobborghi di una cittadina americana, in un mosaico di miserie umane, pure nel cuore e nello sguardo. Si attraversa la vita borderline di ragazzi e giovani adulti, in un patchwork visivo di immagini, videotape, polaroid, vhs, una estetica altra, aliena che confonde e destabilizza, che porta alla luce intimità e violenze, tenerezza e stupidità, passati angosciosi e presenti instabili. Si scontrano e si amalgamo insicurezze e tentativi, epidermiche improvvisazioni a cui partecipiamo sempre con la sensazione di trovarci di fronte a qualcosa di sfuggente, ai limiti, di osservare quello che succede lungo il perimetro frastagliato dell’esistenza, oltre il quale c’è il pericolo di perdersi, abbandonarsi, non saper più riconoscere quello che accade o dove si stia andando. C’è un ragazzo muto con le orecchie da coniglio. E altri che uccidono gatti per fare un pò di soldi e poi tirare colla per stordirsi. Ci sono interni di famiglie disfunzionali. No