The Lighthouse, Robert Eggers, 2019

 


Racconti e leggende d’oltremare. I fischi dei gabbiani e il suono ripetitivo e ipnotico di una sirena antinebbia. La pioggia, il rumore del vento, la voce della tempesta. Le assi di legno del pavimento, gli oggetti, i macchinari. I visi sporchi, invecchiati, deformati dalle risate alcoliche, quando nella notte i labili confini dell’umanità svaniscono e ci si ritrova a danzare e cantare nell'estasi di un mondo atavico e misterioso, mitologico e visionario. Deliri sessuali in esplosioni masturbatorie di grida, sudore e sperma. Fantasie onanistiche di amplessi marini con sirene distese su rocce di piaceri primordiali, i capezzoli duri di salsedine, la fica come una ferita pulsante e accogliente. La luce, le visioni prismatiche della lanterna del faro, altri impossibili accoppiamenti, altri eccessi di puro erotismo allucinatorio - Il passare dei giorni, i lavori da svolgere, le dinamiche di dominio e sottomissione, le umiliazioni, gli odori nauseabondi del corpo, i gas intestinali,  una testa mozzata, poi di nuovo a tavola a sbronzarsi fino a raggiungere uno stato di ebbrezza assoluto, in cui il dolore di essere uomini si scioglie in abbracci e confessioni etiliche - Uno sguardo che pone nel quadrato delle immagini la messinscena di una realtà altra e alterata, attraverso l’uso di un bianco e nero che opprime nei suoi toni scuri e permea di irrazionale e strisciante paranoia gli scontri verbali e fisici dei due protagonisti (Willem Defoe, Robert Pattinson), di cui percepiamo linee e profili nella vaghezza onirica di una illuminazione dai tratti espressionistici e biblici, poi primi piani dei volti dementi di questi uomini, urlanti, sul baratro della follia o in bilico sull’abisso della propria psiche, da cui i mostri del subconscio emergono, tentacolari e affamati - Le pagine scritte di un diario di menzogne o verità parziali, lanterne magiche che disegnano nello splendore del diamante della pazzia i contorni dei desideri più irrealizzabili, l’isolamento e l’abbrutimento e il montaggio, nella sequenza d’apertura, con pochi immagini a descrivere quasi simbolicamente e  attraverso archetipi visivi l’arrivo al faro, luogo che diverrà metafisico e mitico, nel quale portare a termine la tragedia di due cuori lividi e rancorosi, di due menti deviate e ossessive - Le ultime grida, il sangue versato, frammenti di vetro sparsi ovunque - Un corpo divorato dagli incubi evocati da atti di violenza trasformati in pure maledizioni.


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