Porco Rosso, Hayao Miyazaki, 1992

 



Quando non è a bordo del suo idrovolante a dare la caccia ai pirati del cielo, Porco Rosso si rilassa su una sdraia, sotto un ombrellone, con un bicchiere di vino rosso in mano, una sigaretta e la radio accesa - È nella sua spiaggia privata, un rifugio nascosto in una piccola isola del Mediterraneo - Il mare, l’azzurro, i movimenti dell’acqua, quelli delle nuvole e del cielo - E dentro di esso la presenza quasi magica di macchine volanti che si inseguono - Poi la terra e le città e gli uomini e le donne che vi abitano, uno scorrere di sensazioni che arrivano dal passato, dai suoi colori, dalle voci, dai vestiti, dagli odori - Immagini mentali fluide, luoghi di pura immaginazione creativa, svelati fra le pieghe della Storia, un momento in bilico sulla guerra, i disegni di Miyazaki sono veramente animati, nel senso che possiedono un’anima che li fa muovere e il cui impulso è interiore, c’è un cuore, specialmente in alcuni dei personaggi, come quello che fa avvicinare le labbra della piccola Flo a quelle tumefatte di Porco Rosso, dopo che si è battuto per lei - Gli occhi di Gina e il suo giardino segreto, il casinò su un’isola, i suoi ricordi e l’amore e l’attesa e tutto quello che il tempo fa svanire e abbraccia e tutti momenti passati, vissuti, perduti e ricordati - Le battaglie dell’aria, quelle delle passioni, la memoria di voli incantati, di volti smarriti - Le gallerie di bizzarri personaggi, le pause che ci attendono, le vittorie che mai saranno reali - I frammenti di un’epoca, la fantasia vibrante come forza poetica, i racconti che prendono forma a testimonianza degli anni scomparsi - E un monito, una frase, qualcosa da non dimenticare in questa realtà e in ogni altra possibile - Meglio essere un porco, che fascista.


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