Non essere cattivo, Claudio Caligari, 2015
È difficile, a volte impossibile, fuggire dall’ambiente in cui si è cresciuti, soprattutto quello delle borgate, ci sono regole, meccanismi e rituali che nel corso degli anni ti entrano dentro, che si imparano da quando si è bambini, diventando parte delle persone, creando dipendenza, come una droga, uno se ne vorrebbe liberare ma non ci riesce, finisce sempre per ricadere negli stessi errori, nei medesimi vizi.
E la storia di Cesare e Vittorio non è tanto diversa, quel desiderio di cambiare, di trasformarsi è solo un’illusione, una via di fuga mentale che non porterà da nessuna parte. Non sarà un lavoro onesto a liberarli dalla propria vita passata, perché i due ragazzi sono stati già fregati nella loro testa, come quasi tutti, nei bisogni che credono necessari, nei limiti di un mondo chiuso che non riusciranno mai a superare.
A metà degli anni novanta, a Roma e Ostia (colonia della delinquenza della Capitale e del Litorale) giravano enormi quantità di pasticche, ecstasy e amfetamine e Cesare e Vittorio i soldi se li guadagnano così, spacciando (anche cocaina) e ricomprando merce per spacciare di nuovo, per poter vivere e pagarsi anche tutte le sostanze che loro consumano. Caligari conosce bene quel mondo e i suoi protagonisti ne incarnano spirito e comportamenti, linguaggio e stile. Il regista riesce a cogliere la purezza di emozioni intense e vere, improvvise e vibranti, che fioriscono sullo schermo e dentro il cuore dello spettatore. Uno sguardo sempre sincero quello di Caligari, comprensivo, a tratti, anche se mai assolutorio, che cerca di abbracciare i ragazzi, nei momenti più cupi, quando il dolore e la disperazione bruciano, quando tutto sembra che stia per precipitare di nuovo.
Ci sono echi di Pasolini e Scorsese, dei ragazzi di vita del primo e delle mean streets del secondo e anche del loro linguaggio cinematografico che sembra intrecciarsi con quello dello stesso Caligari, ci sono flash di Johnny Boy nell’interpretazione di Luca Marinelli, così mimetico nel dare corpo e voce a Cesare, che persone così, quasi venti anni fa, per strada o a scuola le incontravi davvero.
E poi di nuovo lei, l’eroina, nell’inizio/citazione di Amore Tossico, nelle siringhe lasciate in spiaggia, nelle morti per AIDS, in quel sacchetto che Cesare guarda intimorito e attratto. Per poi cedere, come tutti.
Cicli umani e vite interrotte, dietro di esse il mare, da non guardare troppo, perché poi arrivano i pensieri ed essere cattivi, sulla terra ferma, rimane l’unico modo, per alcuni, per sopravvivere a quelle onde, sperando che la dolcezza di uno sguardo o di un contatto arrivi poi, improvvisa, a salvarci e renderci diversi.
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