A long goodbye, Robert Altman, 1973
C’è un mood inconfondibile in questo film che ti rimane dentro, visione dopo visione. Qualcosa che si espande oltre lo schermo e che ti cattura, un modo di vivere, di pensare, di fare cinema. Un angolo perduto di mondo, nel tempo e nello spazio, che qui, nelle immagini, è ancora reale, come in un sogno, in una malinconia dorata - Le onde dell’oceano che arrivano piano e che Marlowe (o Marlboro, come lo chiama lo scrittore Roger Wade) osserva, prima di sedersi con lui su una poltrona sulla sabbia, al sole, accendendosi l’ennesima sigaretta e bevendo con lui acquavite, di mattina, in un momento sospeso, di luminoso splendore - Gli interni, il decor, i luoghi dove abitare, una grande villa a Malibu, poi l’appartamento di Marlowe, con i suoi mobili, la cucina, una gatta che miagola alle tre di mattina perché ha fame, le vicine di casa, una gruppo di donne sensuali e disinibite, che vivono insieme, si accarezzano, parlano, si fanno d’acido, praticano yoga e preparano hash brownies - Le vetrate dell’appartamento dove vive Marty Augustine, con la sua corte dei miracoli che lo ascolta e con la quale dialoga e monologa come fosse all’interno di una comune del living theatre, con improvvisazioni e deliri scenici, atti di violenza ed esplosioni d’ira - Marlowe, Marlowe, interpretato da Elliot Gould, chainsmoker, smart guy, ghignante ironia, intelligenza, stile, un personaggio indimenticabile - Trame chandleriane, omicidi, bugie, tradimenti, vendette - Cliniche di disintossicazione, stazioni di polizia, stanze di ospedale - Roger Wade, scrittore alcolizzato, con il corpo, la voce e il volto di un gigantesco Sterling Hayden, con il sangue che gli scorre nelle vene e un’indole violenta e le risate rauche con una bottiglia di Jack Daniels in mano, poi un’ultima passeggiata fra le onde - Che arrivano, rapiscono, continuano il loro ciclo - Una canzone (A long goodbye) che si ripete in differenti versioni ma sempre con la stessa languida malinconia - Questo è il mood del film, una nostalgia dorata quasi palpabile, che Altman rende tattile attraverso le sue immagini, il modo di riprendere, i movimenti di macchina, una presenza negli occhi e nel cuore, la storia è un pretesto solo per portarci in questo luogo sospeso, che è il cinema a creare, un film magico, che vive e continua a farlo sottopelle e ti resta dentro e le sue immagini continuano ad arrivare, come le onde del mare, alla sera, nei ricordi di quello che è stato e non sarà mai più.
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