The Wicker Man, Robin Hardy, 1973

 


Wicker man/Burning man. Cerimonie e rituali pagani. Antiche conoscenze druidiche, musica folk, le meravigliose canzoni di Paul Giovanni, un senso di comunità che rinasce dal sacrifico e dalla festa, con maschere e gioiose processioni, nel rispetto dei cicli della natura, della sua benevolenza e della sua ferocia. Primi anni settanta, in una piccola isola scozzese, utopie sociali come non se ne è più avute, diversi sistemi educativi, sessualità liberata e magica, suadenti corpi femminili in circoli danzanti per la propria fertilità, seducenti voci notturne, sensuali tentazioni carnali, le menzogne costruite ad arte perché gli inganni siano una serie di fatti da raccontare nella pantomima di una scomparsa e di un possibile ritrovamento. Indagini poliziesche nelle mani di un uomo dell’ordine, casto e cristiano, portavoce simbolico di quei valori che intere generazioni avrebbero solo voluto dare alle fiamme per la semplice gioia di vedere fiorire dalle loro ceneri qualcosa di nuovo.

Pellicola bizzarra, attraversata da insoliti brividi, con inserti di nudità onirica, in cui la tradizione protetta dalla legge si scontra contro i nuovi movimenti contestatari dell’epoca, si respira il fumo delle sigarette fumate nei pub, ognuno dei presenti con un bicchiere di vino o una pinta di birra in mano, i volti dei vecchi, le fotografie appese a una parete, il movimento del sole, quello della luna, il ritorno delle stagioni, il sapore dell’amore, lo sgretolarsi di quelle certezze che la religione vorrebbe uniche, le ultime grida di un martire involontario, le alte fiamme, prendiamoci per mano e celebriamo la vita. Qui e ora, nell’eternità di ogni attimo presente e che la gloria sia terrena e fatta di risa, urla, sbronze, abbracci e lacrime.


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