Mickey 17, Bong Joon-ho, 2025
Soluzioni salvifiche, valide vendette, occhio per occhio, incidente per incidente, tensioni esplosive risanate e sostenute da paradossi che riconfigurano una società che non riesce ad evolversi, rinchiusa e combattuta tra le solite esigenze: il potere, il sesso, la violenza. Il sospetto che un mondo migliore sia possibile rimane ma il modo in cui Bong Joon-ho si avvicina a questo dubbio sembra essersi invischiato nelle logiche occidentali, in una maniera di pensare che al di là di alcune trovate visive e narrative rimane comunque intrappolata nello stesso funzionamento di sempre. Si evidenziano dunque i confini della stupidità umana e di quello che caratterizza la nostra specie, compresa la paura della morte che sembrerebbe essere stata accantonata dall’invenzione di una stampante capace di ricreare il nostro corpo e la nostra mente donandoci così l’illusione dell’immortalità. O forse dell’illimitata ripetizione dei nostri sbagli. Nasce così l’idea degli expendable, uomini che vengono assunti per farsi uccidere e poi essere ristampati, cavie viventi utilizzate in situazioni pericolose. Se ci allontaniamo da possibili letture politiche, che, anche se ci fossero, sarebbero molto superficiali o lontane dalle potenziali implicazioni critiche di questa storia distopica e permeata da un’ironia che si dibatte per diventare aperto cinismo, ci ritroviamo semplicemente all’interno di una commedia nera che trasporta nella fantascienza un modo di fare cinema sospeso tra l’allegoria della deriva del capitalismo imperialista e l’analisi di quanto resta di umano in un altro mutamento, quello della nostra razza.
Bong Joon-ho si dimostra capace di realizzare una propria personale concezione di regia, moderna e seducente, anche se a tratti svogliata e quello che sembra smarrirsi, invece, è il materiale narrativo, non per la coesione del racconto, che rimane comunque godibile, quanto per i suoi messaggi che non ci raccontano nulla di nuovo o che non sapessimo già. In questa costante moltiplicazione di personaggi e delle loro azioni, la reiterazione, la copia, diventa forse il vero senso dell’opera, magari una metafora del cinema contemporaneo occidentale e hollywoodiano? Dell’abuso delle solite forme e dei soliti caratteri? Di certo Mickey 17 è un film che sembra voler accontentare chi guarda, ricucendo fratture e risolvendo conflitti, il mistero della morte non viene svelato e la resurrezione diventa ludica e grottesca, una punizione karmica per il protagonista o forse solo un ennesimo lavoro come un altro, in cui essere sfruttati e rimpiazzati all’infinito.
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