La Pianista, Michael Haneke, 2001
Claustrofobie emotive e implosioni dei sentimenti che la ragione (l’intelligenza?) vogliono tenere innocui - Atti di violenza fisica come disperate messinscena di fantasie proibite, racchiuse in una scatola, nascosta sotto un letto, sul quale nulla verrà mai consumato - Una lettera in cui le parole raccontano i desideri di una personalità turbata, la cui sessualità repressa si manifesta in comportamenti devia(n)ti, osceni, mai condivisi - L’interno di una cabina di un peep-show, dove visionare film pornografici, annusando fazzoletti sporchi di sperma, poi piaceri urinari in occasioni di voyeurismo notturno - Il controllo, sopra ogni cosa, quello di una madre in simbiotica convivenza con la figlia, quello musicale, di una professoressa che usa gli spartiti dei compositori come strumenti punitivi nei confronti dei propri alunni - Pezzi di vetro nella tasca di un cappotto, frustrazioni taglienti e lucide - Ancora il controllo, quello registico, di Michael Haneke, delle sue inquadrature che sono gabbie visive dalle quali è impossibile fuggire - Le dita delle mani che si muovono sulla tastiera di un pianoforte, da cui le melodie non si liberano ma diventano mere esecuzioni tecniche - Incontri sessuali in cui i ruoli fra chi domina e chi è dominato, vittima e carnefice, si confondono e invertono, schiaffi, lividi, sangue e degradazioni psicologiche e carnali in gelide sessioni di sottomissioni private - La pianista sposta le nostre esperienze come spettatori in territori oscuri e dolorosi, da assorbire (se si possiede il coraggio e la forza interiore) senza cadere nella trappola del giudizio morale - Un’estetica fredda e spoglia, essenziale nella sua efficacia ci trasporta nella dinamiche autodistruttive di una rappresentante della classe borghese, senza più una identità definibile, con una psiche frammentata da pulsioni irrazionali e masochistiche - La visone de La pianista è un atto di resa alle immagini, non a ciò che mostrano ma a quello che in profondità celano.
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