Dolor y gloria, Pedro Almodovar, 2019


E’ l’incontro fra un regista e una persona amata, dopo tanti anni, in una notte di ricordi e malinconie, una bottiglia di tequila e un bacio appassionato per dirsi addio di nuovo. E’ l’infanzia e una madre come forse non ce ne sono più, i suoi occhi, i vestiti,  la sua voce. E poi i colori che esplodono negli arredamenti, negli oggetti, nelle locandine dei film attaccate alle pareti. Le storie, quelle scritte, quelle che il cinema racconta. Il dolore, quello del corpo, quello dei sentimenti. L’eroina, panacea di tutti i mali possibili. Madrid negli anni ottanta. La movida. L’essere stati parte di quel mondo e di ciò che esso ha significato. E Almodovar che diventa Banderas e gli regala un ruolo in cui le emozioni possano ancora formarsi e vibrare e toccarti la pelle e il cuore. Una pellicola intimista, fatta di rimandi e echi e di ogni singolo particolare che come un tassello brillante ha formato l’estetica delle opere del direttore spagnolo. Il passare degli anni, l’invecchiare, la solitudine e quello che la vita toglie e nasconde e poi mostra inaspettatamente e racchiude e sfiora e ci porta via. Almodovar cammina ancora nel suo mondo privato e in quello che ha mostrato nei suoi film, in un racconto che sembra ripetere altri soggetti e altre sceneggiature ma che è invece una testimonianza così delicata e meravigliosa di quello che l’anima di un artista racchiude e trasforma in sequenze, in cui sorridere, in cui commuoversi. Dolor y gloria parla con noi, in un dialogo in cui sono i sentimenti e il loro scorrere a sfiorarci con pudore, ironia e sincerità. Nella messinscena della vita, nella giostra dei rapporti umani, nei legami che ci uniscono agli altri e poi si spezzano, Almodovar sa come muoversi e come mostrarci la gioia e l’infinita tristezza dell’esistenza, in uno sguardo che oltrepassa lo schermo, in cui lacrime e sorrisi finiscono per confondersi e risplendere al di là del cinema e dentro di esso, nelle sue stesse illusioni che diventano le nostre.

 

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