30 Days of Night, David Slade, 2007

 



Barrow, Alaska. Ultimo avamposto della società americana prima del bianco assoluto dei ghiacciai artici. Agglomerato umano composto da caratteri stereotipati pronti al massacro. L’idea interessante: quale luogo migliore per  vivere per alcuni vampiri affamati se non una località dove la notte dura un mese intero?

La realizzazione: si parte da una graphic novel (Niles e Templesmith) con un attento lavoro su colori e fotografia, impasti cromatici e contasti visivi. Le tonalità predominanti sono il bianco delle distese innevate, il rosso vivo del sangue, il blu-nero metallico della notte. 

Gli inganni: la sceneggiatura è scritta in maniera meccanica, sfruttando le svolte del racconto per evidenti esigenze di incastro narrativo. Un esempio: l’incidente che costringe Stella a rimanere a Barrow. 

L’ipocrisia: usare il genere horror, ancora una volta, come strumento per esaltare i valori della società americana. Sacrificio, famiglia, matrimonio, tutti elementi che invece di essere criticati o mostrati in una nuova luce vengono usati da un punto di vista drammaturgico per essere sempre e comunque giustificati. Un esempio: un uomo si fa saltare in aria uccidendo più vampiri possibili. Il suo è un comportamento kamikaze. La società americana condanna gli attentati kamikaze come atti terroristici. Il punto: l’atto non viene condannato a priori, se i cattivi sono gli altri diventa giusto farsi saltare in aria. Un altro esempio: un uomo si accorge di essere stato infettato dal sangue dei vampiri, chiede di essere ucciso prima di trasformarsi in uno di essi. Il senso: metafora della malattia, si chiede di essere uccisi prima di patire quello che la malattia comporta. Leggere anche: eutanasia. Nel film questa scelta che la società americana condanna diventa giustificata, perché ci si sacrifica per gli altri, morendo si annullano le possibilità di nuocere e contagiare i propri compagni.

La storia è piena di situazioni di questo tipo e nessuna di esse serve a scardinare le certezze dei personaggi o i loro valori. Tutto è solo gioco narrativo, senza nessuna presa di posizione critica o etica. Puro film di genere, forse, il problema è che non si ha neanche paura. L’angoscia poteva essere creata dalla situazione di isolamento in cui si rifugiano i personaggi. Nascosti in una soffitta. Invece la tensione è blanda e si cerca di spaventare lo spettatore con banchetti bacchici di vampiri che succhiano sangue a più non posso, parlando una strana lingua, schizzandosi di materia organica per dar maggior risalto alla loro crudeltà.

Chi sono, da vengono, dove andranno: non ci è dato di saperlo.

La scansione temporale del racconto è poi inutile e superflua. Il tempo passa a settimane. L’unico indizio: la barbetta che cresce sul volto di Josh-espressionezero-Hartnett. 

Finito il buio arriva l’alba. Con essa la speranza e un nuovo sacrificio. Una fede brilla su un dito. I sacri valori della Nazione sono stati ancora una volta rispettati. Amen.



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