C'eravamo tanto amati, Ettore Scola, 1974





Marciavamo con l’anima in spalla

Nelle tenebre lassù


E nel bianco e nero dei boschi, degli alberi spogli e della neve d’inverno, in montagna, si incontrano Gianni, Antonio e Nicola, a combattere contro il nemico nazista, diventando amici, per poi separarsi, finita la guerra e ritrovarsi di nuovo nel corso degli anni. Un tempo personale che si intreccia con quello della storia del nostro Paese: la Resistenza, la Repubblica, il dopoguerra, fino ad arrivare agli anni settanta. E il cinema, sempre e comunque. Quello del neorealismo, di De Sica, poi Antonioni e la Nouvelle Vague, il geniale omaggio ad Ejzenstein sulla scalinata di Trinità dei Monti e Fellini, nel mezzo, mentre gira una scena de La Dolce Vita. Il teatro, anche. Con Strange Interlude di Eugene O’Neill che innesca una delle molteplici trovate narrative del film, già presente nel drama originale, quella del soliloquio dei personaggi, con una luce che li illumina, rivelandone così i pensieri mentre chi gli sta intorno si immobilizza in questo attimo di improvvisa intimità. 

Scola compie un lavoro incredibile sul linguaggio cinematografico e sulla narrazione filmica, ne scardina la linearità temporale ricorrendo al cerchio (inizio e fine coincidono) e all’inserimento di flashback in una struttura ad incastro, di cui la sequenza iniziale, con il montaggio a scatti in cui si ripete un frammento della stessa scena, ne è il preludio.

Sullo sfondo di alcuni cambiamenti epocali della seconda metà del novecento italiano, l’amicizia di tre uomini viene messa a dura prova dalla presenza di una donna, Luciana/Stefania Sandrelli, che si avvicinerà prima ad Antonio e poi a Gianni e Nicola. Giochi di seduzione, possibili triangoli come ripetizioni del dramma della gelosia, inevitabili divisioni, tre amici, tre differenti personalità che si attraggono e respingono, contrastanti e complementari. Antonio/Nino Manfredi, animo schietto e sincero, con occhi capaci di esprimere il nascere interiore delle proprie emozioni, un tipo ciarliero, attaccabrighe, romantico e realista, romano nel suo essere figlio del popolo e appartenere ad esso, Nicola/Stefano Satta Flores, spirito comunista, intellettuale, combattivo fino all’esasperazione, logorroico, prolisso, incorruttibile e irriducibile critico cinematografico militante, scrittore fallito, padre assente e Gianni/Vittorio Gassman, da idealista a opportunista,  passando fra i consigli de’ panza di Aldo Fabrizi, per finire cinico e solo e poi Roma, l’altra grande protagonista, con le sue strade, i vicoli e le piazze, le trattorie, piena di un’umanità ormai scomparsa, insieme alla sua anima, racchiusa ed espressa nei corpi e nei volti di poveracci, accattoni, madonnari, preti e mignotte.

E una tristezza, una malinconia sottopelle, ancora tangibile, struggente nel suo insinuarsi nel cuore dello spettatore, non solo per il tempo andato, per le aspettative e i sogni traditi, per le speranze distrutte ma soprattutto per come la vita ci avvicina e ci allontana gli uni dagli altri, ci separa e riunisce, in una danza di imprevedibili incontri, in una giostra, a volte tragica, altre ridicola, di amori, affetti, ferite, tradimenti, perdite.


Eravam tutti pronti a morire

Ma della morte noi mai parlavam

Parlavamo del futuro

Se il destino ci allontana

Il ricordo di quei giorni

Sempre uniti ci terrà


E anche il ricordo di quei giorni in montagna fa venire i brividi insieme alle parole e alla musica di questa ipnotica canzone di Armando Trovajoli, che ci rammentano sensazioni, avvenimenti, fatti e azioni di cui oggi sembra essersi dissolta la memoria, c’è stato veramente, in un’epoca diversa, qualcuno che ha creduto in questi versi, che ha combattuto e che è morto per un’ideale, quello della libertà, una generazione formatasi e cresciuta in un contesto in cui decisioni vere andavano prese per poi terminare divorata dalle esigenze di una classe politica che si dimenticò della gente per inseguire i propri profitti.

C’eravamo tanto amati, rivisto oggi, segna il punto di contatto fra un mondo che stava scomparendo e uno che stava nascendo e di cui noi oggi facciamo purtroppo ancora parte, spostandoci ancor più verso una direzione ignota, non per coraggio di scoperta quanto per la quasi totale mancanza di immaginazione di chi abbiamo intorno. Rimane quindi una magnifica malinconia nel riassaporare la bellezza di rapporti umani fatti di gesti, sguardi, carezze, baci, schiaffi, pugni, scazzottate e riappacificazioni. Di un modo d’amare che sta svanendo dietro schermi, distanziamenti, paure e contagi. Di un cinema che sapeva guardare intorno e dentro, raccontandoci storie di noi, di quello che siamo stati e di quello che avremmo potuto essere.

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