La caduta degli dei, Luchino Visconti, 1969

 



Rituali, in interni, di una famiglia della nobiltà tedesca, a tavola, la servitù che accorre alla schioccare delle dita. Nel salone, davanti a poltrone imbottite, si assiste alla messinscena della decadenza di usi&costumi aristocratici, Helmut Berger, en travesti, imita la Marlene Dietrich de L’angelo azzurro. Ed è lui, HB (e Martin il personaggio che interpreta) l’emblema della pellicola, un virtuoso del vizio dalla bellezza androgina, che abilmente si destreggia fra travestitismo, pedofilia e incesto; il futuro erede delle acciaierie von Essenbeck non si lascia mancare nulla in quanto a perversioni. E lo vedremo in divisa da SS, con il braccio alzato, a consegnare l’impero della sua famiglia ai nazisti (chissà se Luchino si eccitava a vedere il suo Helmut vestito così…). 

Fotografia meravigliosa, con i chiaroscuri della luce a disegnare i profili degli attori, colori morbosi, saturi, viscerali, corpi di donne longilinei, quasi maschili, volti stupendi (Berger, Thulin, Bolkan, Ramplingl), Visconti racchiude in una cornice di raffinata eleganza i drammi, i tradimenti, le lotte di un gruppo di persone legate fra di loro da legami più o meno di sangue, quello che scorre nelle vene e quello versato. Si incrociano eventi della Storia che trapelano dal privato di quanto accade nelle camere, soprattutto da letto. Una lunga sequenza che narra l’uccisione delle SA, durante la Nacht der langen Messer, assistiamo a un’alba di furore assassino dopo una notte in cui i soldati hanno festeggiato, a modo loro, la propria esuberanza teutonica. E Visconti guarda con occhio fintanto compiaciuto cotanta decadenza. Chiappe dei soldati al vento sulle rive di un lago, fiumi di birra, tutti sbronzi a cantare, ad abbracciarsi, a indossare calze velate. I vecchi festini di una volta, insomma, il fascino dimenticato dell’erotismo omosessuale dell’Occidente. 

Il potere, l’ascesa del Nazismo, gli echi delle tragedie di Shakespeare, l’estetismo ossessivo, il sesso estetico, tutto rappresentato attraverso quella grandezza che pare appartenere a una razza di attori e artisti superiori, non per nascita quanto per appartenenza a l’ideale di bellezza di un regista, che sono poi le sue immagini a svelare e formare. Questo è il post68 per Visconti. Suprema elegia di indecenti divinità dionisiache, ormai libere di cadere in terra per travestirsi da troie in tacchi alti e giarrettiere.


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