Paradise:Faith, Ulrich Seidl, 2012



Che masochismo e cristianesimo siano in un qualche modo uniti (o forse siano la stessa cosa) è fuori da ogni dubbio. Ci sono dipinti e affreschi e quadri a testimoniarlo. E storie. La flagellazione e la croce (esperienze sublimi in uno scenario bdsm), la corona di spine e tutta la passione, per farla breve. Un pò meno scontato è pensare al piacere che il dolore può portare con sé. Ci è stato detto che la sofferenza della carne ci eleva e ci fa trascendere e ci avvicina a Dio e su questo niente da dire, provato personalmente. E se i santi avessero seguito la strada del martirio corporeo per raggiungere un godimento fisico, un’estasi dei sensi estrema e attraverso quella arrivare a Dio? Nostro Signore Gesù Cristo, in primis? E’ una domanda che mi sono sempre posto.

Il film si apre con una donna che si frusta nella riservatezza della sua camera. Davanti ad un crocefisso, con il quale in seguito si masturberà. Ci sono immagini abbastanza kitsch del Salvatore, per la casa, con le quali ella dialoga e a cui si rivolge come fossero quelle del suo sposo. Il quale (il vero coniuge) riapparirà all’improvviso,  un uomo disabile, arabo e musulmano. Tra lui e la donna non vi è più quasi comunicazione e l’uomo cercherà in tutti i modi di riavvicinarsi a lei, attraverso infruttuosi tentativi, fisici quanto emotivi, compresi quelli di eliminare dalla casa tutte le immagini sacre che sono appese un pò ovunque. Lo sposo della donna continuerà a rimanere il Redentore.

Ulrich Seidl con il suo inconfondibile stile e la sua glaciale e geometrica estetica fatta di piani fissi, in cui la composizione di ogni singola inquadratura è pensata e studiata, ci costringe di nuovo a essere spettatori di una intimità. A violare, già con il nostro sguardo, questa intimità. Soprattutto ogni volta che ci ritroviamo insieme ai personaggi in una delle loro stanze. Non è tanto ciò che osserviamo quello che crea disagio quanto la nostra presenza come spettatori dove non dovremmo essere. Siamo degli intrusi. Dei voyeur.

La donna, Anna Maria, dispiega le sue energie in una personale crociata di redenzione e evangelizzazione degli altri. Portandosi appresso una statua della Vergine come un simulacro della propria fede. O come un feticcio. Gruppi di preghiera, incontri. Corpi sfatti, esistenze incrinate. Gruppi orgiastici, in un parco, a fottere pubblicamente. La donna sviluppa anche una sorta di feticismo per l’oggettistica sacra, la accarezza, la bacia, la venera. Il suo sottomettersi e il suo amore per Gesù si trasformeranno poi, in un accesso di ira e frustrazione, in un atto di violenza, quello di flagellare il crocefisso, per poter accedere così alle lacrime e al pentimento, facendo chiudere il cerchio dove sadismo e masochismo si incontrano, sublimandosi a vicenda. Paradise:Pain.


 

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