Sinfonia del Donbass/Entusiasmo, Dziga Vertov, 1931

 


Film di regime, certo, ma la potenza formale di questa opera rimane inaudita. Il montaggio è folgorante, il ritmo creato è di una forza inarrestabile e va a esaltare quella stessa tempistica del lavoro, in chiave utopica e socialista, come manifesto del popolo e del suo valore di produzione. Collettivismo e rivoluzione. Piani quinquennali e dittatura del proletariato. La meccanizzazione dell’agricoltura, lo sviluppo, il passaggio verso il futuro. Poi l’industria. La sua sinfonia di macchine in azione. Alcune immagini rasentano l’astrattismo.  Linee, figure geometriche. Dziga Vertov trasforma la propaganda in una esperienza visiva e sonora così complessa e allo stesso tempo diretta, sperimentale e intellegibile, fantastica e realista. La sintesi degli opposti è la magnificazione del popolo come strumento del cambiamento. La composizione dell’inquadratura raccoglie gruppi di persone che ne attraversano lo spazio o singoli volti o parti di essi - edifici industriali, macchine in funzione e ingranaggi, dal totale al dettaglio e viceversa. Compaiono scritte in puro stile futurista. Vigore della parola, del simbolo grafico. Il montaggio delle attrazioni crea significati. L’abbattimento di una chiesa. L’addestramento dei minatori. I turni in una acciaieria. Un cinema che costruiva sé stesso come mezzo comunicativo, in cui l’idea di narrazione non era il racconto tradizionale quanto il film come struttura di un altro possibile modo di dire le cose, di mostrarle in immagini e suoni, che una volta organizzati fra di loro potevano produrre, in una dimensione che non apparteneva alle altre arti (teatro, pittura, fotografia, musica, scrittura) ma da esse era composto, una nuova forma espressiva. Ecco la grandezza del cinema russo di quegli anni. Primo film sonoro de il regista de L’uomo con la macchina da presa (forse la sua controparte auditiva), in cui il suono diventa coprotagonista con l’immagine e non ne è mai subordinato. Pochi dialoghi, musica tradizionale e rumori. Sono questi ultimi contrapposti alle immagini a creare nuove aperture di senso o diverse percezioni (anche l’uso di effetti visivi stranianti come le sovrapposizioni ci porta su diversi piani cognitivi, in alcune occasioni). Bisognerebbe riappropriarsi di questo linguaggio filmico, studiarlo, farlo evolvere, attualizzarlo, trovargli una forma di applicazione nel cinema contemporaneo, per salvarlo dalla sua mercificazione, dalla sua noia, per risvegliarlo dal suo degrado e dalla sua apatia.






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