Puerto Escondido, Gabriele Salvatores, 1992
Fuggire dal proprio Paese è una cosa che andrebbe fatta, almeno una volta, nella vita. Non dico contro la nostra volontà, altrimenti sarebbe un esilio, ma come una scelta. Arrivati a un certo punto ci si rende conto della presa per il culo nella quale uno è ingabbiato e allora c’è poco da fare, o si continua a fingere o te ne vai. E allora si taglia con tutto. Lavoro, casa, amici, famiglia, partner. Un pò di soldi da parte possono essere utili ma non essenziali. Anzi meno ne hai e più ogni cosa diventa avventurosa. Poi dall’altra parte, in qualunque posto tu abbia deciso di andare si scoprono due cose. Che sei solo e che sei uno straniero.
Puerto Escondido, in una forma fra noir (quella che funziona di meno) e commedia (quella che funziona di più) ci mostra una fuga e un luogo (il Messico) nel quale forse (fra stereotipo e speranza) si possa vivere in una maniera diversa. Che è poi quello che provano a fare i personaggi interpretati da Claudio Bisio e Valeria Golino (giovane, stupenda e luminosa), adattandosi a ciò che capita o rischiando un pò ingenuamente di fare qualche soldo in traffici illeciti. Alcune cose scorrono nel film, altre sono posticce e forse ci sono un pò troppe birre di una nota marca dal nome pandemico perché sia solo una coincidenza. Però ci sono anche dei dettagli, dei particolari che hanno un loro valore. L’incontro con il personaggio di Fabrizio Bentivoglio, per esempio. Uno che ha mollato tutto e si è messo in balia degli eventi. E questo è veramente un altro modo di di vivere, quando la smetti di preoccuparti e segui il flusso della vita, e impari che esso, in un modo o nell’altro, ti porta sempre con sé. E’ come la differenza fra nuotare e seguire la corrente. Nel secondo caso non fai fatica ma non sai dove essa ti porterà. E questo può mettere paura se uno cerca di controllare tutto, di pianificare, di progettare. Ma può anche essere meraviglioso, se uno si apre all’imprevedibilità dell’esistenza e ha fede in essa. Un altro momento notevole è quando la Golino e Bisio parlano del peyote, di sicuro Salvatores ha letto Castaneda perché quando uno dei personaggi dice che è lui che ti trova (cioè il peyote trova te) e non sei tu che trovi lui è una citazione diretta di Don Juan. Poi il resto scorre fra sorrisi e cerveza e non è che rimanga molto. Per quello spiraglio di libertà mostrato però a me sembra già abbastanza. Cioè l’averci provato, l’essersene andati. E l’aver capito che la fuga è solo un inizio. E mai una fine.
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