Vinyl, Andy Warhol, 1965



Cinema performativo e teorico, in cui il profilmico si traveste da messinscena (?) orgiastica dove si sovrappongono il tempo diegetico e quello filmico e gli attori (?) sono in un stato di alterazione progressiva (spinelli, popper, pasticche) e si esibiscono nella rievocazione drammaturgia di Orange Clockwork di Anthony Burgess, la cui trama viene condensata al massimo e semplificata nella scelta di mostrare la cura Ludovico come fosse una sessione sadomasochistica, con tanto di catene, cera calda e maschere bdsm. Spettatrice impassibile, fra una sigaretta, uno spino e un drink, l’eterea e armoniosa Edie Sedgwick, la cui sola presenza porta luce nell’oscurità trasgressiva e deviata della Factory Warholiana. 

Gerard Malanga, nella parte di Victor (che dovrebbe essere Alex), si muove, fuma, solleva pesi, si indemonia in una dionisiaca danza rock sulle note dei The Kinks, di Martha and the Vandellas e dei Rolling Stones, spirito indomito e selvaggio, per finire incatenato e legato ad una sedia, dopo aver commesso alcune cattive azioni, per sottoporsi alla cura che ben conosciamo. Guardare film violenti e sentirsi male. 

Allo stesso modo anche lo spettatore è partecipe della medesima esperienza. Non può distogliere lo sguardo da quello che gli sta succedendo davanti agli occhi, mostrato in un unico e quasi ininterrotto piano sequenza, tranne per quattro impercettibili raccordi, forse dovuti alla fine della bobina e dove la macchina da presa rimane pressoché immobile, ad eccezione di un carrello all’indietro dal volto di Gerard Malaga in apertura, identico (ma antecedente) a quello nell’inizio del capolavoro di Kubrick.

Negli ultimi minuti assistiamo a un vero baccanale di corpi e sostanze, in cui il delirio prende forma in azioni fluide e plastiche e senza nessuna logica, se non quella del momento, di quanto accade, non manipolato, davanti alla macchina da presa. Lo sperimentalismo narrativo è evidente, come l’estremismo delle decisioni adottate. Eravamo a New York ed erano gli anni sessanta, che altro dire, fatevi una canna o un bicchiere di birra, guardatevi il film e chiedetevi cosa sia rimasto di tutta quella anarchica energica creativa.


 

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