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Visualizzazione dei post da gennaio, 2025

Otto ore non sono un giorno, Rainer Werner Fassbinder, 1972

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  Ci pensi, a volte, quando torni a casa la sera che otto ore (di lavoro) non dovrebbero essere un giorno e che dovresti avere ancora il tempo e l’energia per fare altre cose, stare con gli amici o più semplicemente farti i cazzi tuoi. E Fassbinder ci porta nel suo mondo filmico, nella sua epoca, in quello che gli sta intorno, nelle dinamiche umane di una società di cui non vengono nascoste le problematiche e gli aspetti negativi, ai quali si cerca di trovare nuove soluzioni, insieme o da soli, in fabbrica come in famiglia, discutendo e litigando, se necessario. Prodotto televisivo suddiviso in cinque puntate, ciascuna dalla durata di un lungometraggio, Otto ore non sono un giorno appare quantomai alieno alle logiche produttive e ai temi attuali trattati dalla tv di oggi, da cui sembra essere stato bannato qualsiasi impegno politico e sociale, qualsiasi descrizione psicologica che possa essere destabilizzante e potenzialmente pericolosa per lo spettatore medio, rincoglionito da g...

Nosferatu, Robert Eggers, 2024

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Il Nosferatu di Robert Eggers sarà apprezzato maggiormente da chi non abbia mai visto e forse neanche conosca i suoi predecessori. Se non fosse un remake, ma una prima opera cinematografica ispirata al romanzo di Bram Stoker, il film di Eggers potrebbe catturare lo sguardo soprattuto dei giovani spettatori e trasportarlo in quel mondo arcaico di ombre e misteri dove si aggira lo spettro o quel che di umano resta del conte Orlok/Dracula. La regia di Eggers è elegante, piena di fascino, capace di costruire seducenti atmosfere che dovrebbero nascere dal buio di sensazioni sconosciute o di passioni la cui forza potrebbe far vacillare la ragione. Eppure per lo spettatore che nel suo cammino si fosse imbattuto nell’opera di Murnau, specchio di un cinema ormai scomparso e svanito o nella interpretazione di Coppola (più di quella di Herzog) che trasforma la storia del conte in un geniale e debordante melodramma, tanto per invenzioni visive quanto per scelte registiche, il lungometraggio di E...

The room next door, Pedro Almodòvar, 2024

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  Pedro Almodòvar si firma solo Almodòvar, nei titoli di testa, quasi a dirci che basterebbe questo piccolo gesto di vanità autoriale a ricordarci quello che troveremo in un suo film. E infatti gli elementi ci sono tutti: il melò, l’uso espressivo dei colori, gli universi femminili, la leggerezza con la quale riesce a trattare temi profondi. Forse c’è meno ironia e meno spirito dissacratorio, ma quello che conta sembra essere l’eleganza e l’essenzialità della regia, quasi interamente giocata sull’uso del primo piano, in cui il volto delle attrici protagoniste (Tilda Swinton e Julianne Moore) diventa strumento figurativo di scoperta psicologica ed emotiva delle loro vite e delle loro storie. C’è un quadro di Hopper nella casa dove le due donne si ritrovano nell’attesa che una di loro incontri la morte, una copia, certo, perché l’originale sarebbe impossibile da tenere in casa. Ma una copia così perfetta da sembrare vera. Ecco, anche The room next door è così, una copia impeccabile ...